giovedì 19 dicembre 2013

Anatomie Inorganiche - il bestiario immaginifico di Alessandro Turoni

Nella scuola elementare del paesello dove sono cresciuta, c'era un'auletta, al piano di sopra, dove non entravamo mai. Solo una volta, quando avevamo credo 7 anni, la maestra Rosa ci portò lì, parlandoci di vipere e di altri animali che potevamo incontrare nelle campagne che ci circondavano. 
L'auletta era molto bianca e a ripensarci ora mi sembra una figurina ritagliata da un tempo non mio, come se ci fossimo trovati all'improvviso in una scuola di fine ottocento. 
In un angolo della stanza c'era un vecchio mobile marrone scuro, con le ante di vetro. Sugli scaffali erano allineati barattoli, ampolle, bottigliette, contrassegnati da etichette stinte, che chissà quanti anni dovevano avere. 
In uno dei contenitori, immersa in un liquido color ambra, galleggiava la spirale eterea e reticolata di una pelle di serpente. In altri erano conservate piccole ossa di animali. 
Il mio primo gabinetto delle meraviglie. 
Ero stupita, ero rapita. Direttamente sopra la nostra classe, si nascondeva un armadietto carico di storie, di vite sotto spirito. Salendo due rampe di scale, si poteva partire con l'esplorazione, appoggiare il naso al vetro, avere paura, avere soprattutto una folle curiosità. 

Ho provato lo stesso identico stupore entrando qui:



Alessandro Turoni

Il gabinetto delle meraviglie si è moltiplicato. 
I mobili ora sono tane, sono altari per animali silenziosi, che non ti scrutano, mentre li scruti. Continuano la loro vita. 
Sono animali corazzati, hanno armi come corna, come zanne. 
Così, enormi bestie preistoriche si difendono dall'assedio di minuscoli omini, si ergono come rocce vulcaniche, s'imbizzarriscono mettendo in mostra i lunghi denti ricurvi. 
Uno stambecco si ripara sotto il doppio arco perfetto delle sue corna ritorte. Le corna del cervo, invece, si ramificano all'infinito – cervo e foresta, insieme. 
Un narvalo fluttua a mezz'aria, in un ondeggiare malinconico, non so se dovuto al ritrovarsi in un elemento diverso dal solito o se per la sua stessa natura di narvalo. 


Alessandro Turoni



Su quegli scaffali a destra, ritrovo i barattoli di vetro del mio ricordo infantile, solo che stavolta contengono fiere immaginarie. O un piccolo uomo deceduto. Accanto a lui, una gazza intessuta di cristalli e brillocchi attira l'attenzione spalancando le ali. 

Il mio preferito dell'intero bestiario è il Pangolino, dalla corazza verde screziata di rame, arrotolato su se stesso, che si cerca la coda col muso. Lo trovo elegante e altezzoso, nascosto dietro una timidezza apparente.



Alessandro Turoni - foto René Mt2
foto René Mt2
Potrei restare ore ad osservare tutti i minuscoli particolari che compongono questi animaletti. 
Il gatto e i topi sono soffitte ricolme di gioie. 
Il cuore del gatto è un gomitolo azzurro, i suoi occhi un campanellino. Dentro di lui sono aggrappati un francobollo con un uccellino azzurro, un cane, un'oca e un topo piccolissimi, una molletta rossa e quella che pare essere una tessera di domino. 
C'è un pendente di lampadario, dentro quel topo, una minuscola immaginetta di un santone, nelle viscere di quell'altro. Questo topino qui ha un cuore rosso rubino, che mi cattura l'occhio, che trema se soffio. 


Alessandro Turoni



Mi accovaccio alla loro altezza e, mentre si guardano, studio le loro anatomie. Ci sono alcune cose per cui provo un amore smisurato. Tra queste, gli animali e gli oggetti piccoli, specie se vecchi, specie se usati. In queste brevi scene di vita animalesca trovo il riassunto dell'universo fantastico in cui vivo da sempre. 
Ritrovo racconti letti da bambina e altri che ho solo immaginato e che forse un giorno scriverò. 


Al Cosmonauta (Forlì) stiamo ospitando la mostra Anatomie Inorganiche di Alessandro Turoni
Se entrate nel locale e lo percorrete fino in fondo, la troverete che vi attende nell'ultima sala. 
Resterà in esposizione fino a domenica 22 dicembre a mezzanotte
Questo è un invito: visitatela.

www.alessandroturoni.com

Anatomie Inorganiche - Cosmonauta 15/22 dicembre 2013

Alessandro Turoni - mostra al Cosmonauta


lunedì 16 dicembre 2013

Gli invasori

Sono timida.
È difficile che mi metta a parlare con le persone che conosco poco, a meno che queste non mi facciano sentire a mio agio.
Raramente mi sento a mio agio.
La premessa iniziale è doverosa, dato l'argomento che sto testé per introdurre – perché fossi stata, che ne so, l'animatrice del villaggio turistico La Testuggine d'oro di Baia dei Tramonti, probabilmente avrei reagito al fatto in maniera più energica e ridente e, per smaltire la rabbia, non mi sarei di certo messa a scrivere, ma starei tenendo una lezione di zumba acrobatica in piscina.

Ma cerchiamo di capire insieme, io e voi, vastissimo pubblico di lettori di questo blog atematico. 
Cerchiamo di capire, perché io mi sento un po' impreparata. E spersa. 



È la domanda del giorno – no, ma cosa dico: è la domanda della vita
Me lo sto chiedendo perché ho appena subito un atto di invadenza bella e buona, di quelli che ti trasmettono un lievissimo nervosismo che, lasciato macerare, tende a tramutarsi in istinto omicida. 
Per dire: ho ingurgitato lo yogurt senza cucchiaino, gorgogliando come un lavandino tappato, perché era il primo oggetto innocente su cui mi potessi sfogare. 
Non mi sono sfogata. 


Richiedo a voi, folla di genti: cosa spinge le persone ad essere invadenti? 
Ad entrare nello spazio altrui senza chiedere permesso? 
A restarci, anche dopo che lo sguardo, il viso, l'intero corpo della persona invasa hanno supplicato pietà, hanno mandato segnali chiarissimi di disagio? 
E non bisogna essere per forza timidi, per sentirsi a disagio: semplicemente, uno potrebbe non avere nessunissima intenzione di avere vicino alcunché. O di avere vicino proprio te, sì, è inutile che fai l'offeso. 

E ancora vi chiedo: Cosa spinge una persona invadente a non rendersi conto della propria invadenza

Non so, qualche microtossina si impossessa del suo cervello e le impedisce di recepire i segnali della persona che si trova di fronte? 
La quale persona, durante il suo monologo, si è scarnificata le unghie nei momenti di calma, mentre al culmine dell'ansia si è auto cavata quell'ascesso dentario che le dava un po' fastidio negli ultimi giorni? 


Se parli con qualcuno e per mezz'ora questo non ti risponde, non dico che ti debba venire il dubbio che il tuo interlocutore sia morto, ma almeno assicurati che sia interessato. Che sia partecipe. 
Se ti avvicini ad una persona e questa fa un passo indietro, e tu ti riavvicini e questa fa un altro passo indietro, perché la prima cosa che pensi è che voglia ballare il cha cha cha? Non ti viene il dubbio che forse le stai alitando in faccia da mezz'ora e la cosa potrebbe non farle piacere? 
Specifico: puoi anche profumare di rose, non mi interessa
Esiste uno spazio vitale all'interno del quale io vivo, penso, respiro. Accedere a questo spazio vitale richiede un permesso, che non ti voglio concedere. 

Non comprendo la ragione per cui alcune persone non percepiscano il disagio negli altri. Perché sono costretta a dirti “Non sono una che parla tanto”? La verità è che non voglio parlare tanto con te, ma cosa nel mio atteggiamento non te lo fa comprendere? 


Mi sono avvicinata? No. 

Ti ho accolto con un grande sorriso? No, ti ho accolto con un sorriso gentile, ma perché così trovo giusto si faccia tra animali. Ma tu non ti puoi approfittare di Signora Gentilezza, che mi impedisce di mandarti via a testate. 

Quando hai fatto il battutone “Ma dai, che amica sei?” la mia risposta “Amica di chi?” ti ha forse lasciato qualche dubbio residuo sulla tipologia del nostro rapporto? Probabilmente sì, visto che hai continuato bellamente a ciarlare e ad appropinquarti alla sottoscritta. 
Voglio dire, ad una risposta del genere un vago sentore d'offesa io l'avrei avvertito. 


Sono scombussolata, lo ammetto. 
Sono anche una persona piuttosto suscettibile, questo non lo posso negare. Probabilmente, se avessi avuto un carattere diverso, il qui presente papiro non sarebbe mai stato vergato. 
Ma è il carattere che mi è stato dato in sorte. 
Amo le persone educate, non ci posso fare niente.

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