mercoledì 26 febbraio 2014

Emocromo

Sono notoriamente una fifona.
Tra le mie paure, posso annoverare:

  • fare telefonate (al primissimo posto in assoluto)
  • essere giudicata
  • le cavallette
  • le bibite fredde
  • i fraintendimenti
  • parlare
  • dare esami 
  • la soffitta adibita a stenditoio del condominio ove abito
  • le scale mobili
  • i rumori improvvisi
  • i rumori di notte

(immaginatevi un coniglio e avrete un chiaro esempio della mia reazione alle ultime due voci in elenco)

Forse è folle, ma le analisi del sangue, invece, non mi fanno paura. Mi fanno simpatia.
Sarà che mi piacciono le sfide inutili, e arrivare in un luogo senza aver mangiato prima rientra a tutti gli effetti nella categoria, con me e il mio stomaco che ci facciamo coraggio a vicenda: lui che si stringe impavido, io che gli intimo, in un ultimo rantolo, “Ce la faremo, amico.” 
Ma, come dire, le trovo quasi piacevoli.
Sono calamitata dai colori.
La luminosità onirica dello studio medico. La vivacità dei tappini delle provette.
La pelle pallidissima e le vie che vi scorrono sotto, così silenziose e così vive; le vene color verde fiume e il sangue nel tubicino, velocissimo, di un bel bordeaux pieno, di velluto.
Sono affascinata dai gesti di chi lavora, quando diventano abituali, quando donano sicurezza. Mi piace osservarli ed imparare un nuovo rituale, una convenzione, una regola. Seguo la mano che rende leggero l'ago, e la ammiro.

Soprattutto, le analisi del sangue mi fanno sorridere per i ricordi che portano con sé.
Non so se capitasse solo a me a causa del mio incarnato cadaverico, o se tutti i bambini siano sottoposti di routine ad una quantità immane di esami medici, ma rammento un'infanzia emocromaticamente molto attiva (anche ortotticamente, ma quella è un'altra storia).
Ricordo che le mattine in cui dovevo fare le analisi cominciavano presto e, siccome abitavo su una collinetta un po' dispersa, significava che cominciavano al buio.
Allora assonnata e affamata, me ne andavo con mio padre verso l'ospedale. 
In macchina, si parlava di attualità: quante lucertole avevo acchiappato il giorno prima, le caratteristiche del pianeta Nettuno, episodi esilaranti tratti dal libro che stavo leggendo al momento, gli errori grammaticali nel compito della compagna di classe corretto a scuola e che mi avevano fatto scompisciare, eccetera eccetera. 
Eccezion fatta per il pianeta Nettuno (non me ne voglia, è che a un certo punto la mia mente si è ristretta), si tratta esattamente delle stesse cose di cui parlerei adesso.
L'ospedale si ergeva nella foschia e nel silenzio, coi nomi dei padiglioni che, per me bambina, potevano essere solo località lontane (la selvaggia isola Vallisneri, ad esempio).
Anche allora guardavo con occhio ammirato il mio sangue scorrere nel tubicino – una parte di me che lesta scivolava mia, non appena ne scorgeva l'occasione.
Sveglia da ormai un'ora, stoica, aspettavo in realtà un unico momento: quello in cui, finite le analisi, mio padre avrebbe detto “Andiamo a fare colazione?”.
Perché io, forse, non lo avrei detto mai – oh, ti rimbambivo con vita, hobby e gossip dei merli in giardino, ma se ti dovevo far partecipe di un mio desiderio non aprivo bocca.
Ancora di più aspettavo il momento in cui mi avrebbe chiesto
“Cornetto e cappuccino, va bene?”.
E io avrei risposto sì.
E avrei mangiato il mio cornetto e bevuto il mio cappuccino schiumoso.
E avrei fatto un po' fatica, ma, oh, avevo fame.
E mai una volta, mai una, che mi riuscisse di dirgli l'atroce verità.
Il cappuccino non mi piaceva. Non lo ingollavo proprio.
Ma lo bevevo lo stesso.

Forse è per questo che ancora adesso rido, quando esco dall'ospedale per andare a fare colazione.

mercoledì 19 febbraio 2014

Una settimana ricca di citazioni

Noteworthy Things Project - settimana numero 6.

* 10 febbraio
"Imprecò, ma non tanto perché gli importasse delle foto, quanto perché voleva conservare il suo buonumore ricco di serotonina, e per farlo aveva bisogno di un minimo di collaborazione da parte del mondo degli oggetti."


Le correzioni  - Jonathan Franzen


* 11 febbraio
Ma il cartello
"Siamo lucidalabbre

se non ci apri siamo contenti"
vorrebbe forse avere un intento intimidatorio?

(Visto in un negozio in centro.
Non l'ho fotografato solo perché avevo la commessa a due passi.)


* 12 febbraio
Il Club Letterario Chesterfield giunge al suo terzo incontro.
Questa volta si parlava di Northanger Abbey di Jane Austen - e della sua protagonista, Catherine, che, per quanto scema, alla fine si dimostra il personaggio più coerente, sincero e amabile dell'intero romanzo.

* 13 febbraio
Giornata di auto critica feroce. Speriamo che serva.

* 14 febbraio
Ci sono immagini che salvano.
(ma tre Manhattan no)

* 15 febbraio
Ogni tanto è bello dimostrare il proprio amore per le cose.
Ad esempio, per il divano.

* 16 febbraio
Sogno.
Alla fermata dell'autobus, leggo un libro di Stendhal di cui non vedo il titolo, in un'edizione economica in due volumi presa in un mercatino dell'usato. Sono presissima dalla lettura, soprattutto dalla figura del protagonista, un personaggio maschile da cui resto estremamente affascinata.
Ma, proprio quando la lettura si fa ancora più intensa, scopro che il precedente proprietario del libro ha tagliato via minuziosamente dei riquadri da diverse pagine - non la pagina intera, ma solo alcune parti di testo. Un incredibile affronto!
Alle mie spalle c'è una libreria aperta; sono le 7:55 del mattino e l'autobus parte alle 8. 
Posso farcela.
Entro, afferro il libro, pago ed esco.

Quando mi sveglio, conscia di non aver mai letto nulla di Stendhal in vita mia, mi fiondo in libreria e ne esco vittoriosa brandendo Il rosso e il nero.


Foto numero 6.

Barchetta realizzata col bugiardino di un ignoto medicinale. 

L'ho solo trovata, io le barchette non le so fare!


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Noteworthy Things è un progetto di Pretty In Mad.

lunedì 17 febbraio 2014

Silhouette - Storie di carta



Forse comincia davvero in un bosco, questa storia di foglie e di carta.
Comincia dove c'è silenzio e gli unici rumori sono fruscii.






Uno scalpiccio di zoccoli, un miagolio tra i cespugli, uno zufolare sommesso tra i rami.
Racconti diversi e distanti che si sovrappongono gli uni agli altri e insieme si lasciano catturare.




Mi piace pensare alla trama già scritta sulle venuzze sottili che percorrono il fogliame.
Mi piace pensare a come una storia si possa esprimere anche senza parole.






Soprattutto, mi piace immaginare un tavolo sommerso di carta e ritagli e di forbici e colla.
Una pila di giornali da una parte, le foglie multicolori e multiformi appena raccolte dall'altra. 
In mezzo, i pensieri, che tracciano il sentiero che dovrà seguire l'intaglio.






Silhouette è la mostra di opere con cui Michela Mazzoli ha decorato le pareti del Cosmonauta: tanti piccoli quadretti realizzati con la tecnica del collage e del papercut, accostati gli uni agli altri come ritratti di famiglia.
E, come ritratti, resto ad osservarli, cercando somiglianze sull'orlo di un profilo d'altri tempi, perdendomi a seguire i ghirigori che serpeggiano in un paio d'ali.
Il fascino che il papercut esercita su di me ha qualcosa di inesprimibile. Di primordiale, oserei dire.
Affonda le sue radici nell'amore che provo verso le cose di carta e che mi ha sempre portato, da che io ricordi, a circondarmi di quaderni e riviste e a stagliuzzarli con tutta la creatività di cui mi ritenessi capace - che, poca o molta che fosse, non ha mai fatto sì che imparassi a tagliare bene la figure lungo i bordi. 
Ma poco importa.
Quel che davvero importa è che esiste chi questa mania l'ha presa seriamente.
Esiste chi conosce la carta e sa che il suo compito è raccontare storie. 
È così che un foglio si trasforma e diventa libellula o farfalla, nido o scarabeo, volto noto o simbolico.
È così che certe idee sottili prendono forma - sempre con poesia, sempre con eleganza. 





Michela Mazzoli nasce a Cesena nel 1970.
È specializzata in progettazione e decorazione del vetro, illustra libri per bambini, realizza collages e papercut.
La mostra Silhouette resterà esposta al Cosmonauta (Forlì) fino al 23 febbraio 2014.

www.cartevetrate.blogspot.com

lunedì 10 febbraio 2014

Di cibo notturno, preoccupanti amnesie e splendidi ritagli di carta.

No, non mi sono dimenticata del Noteworthy Things Project.
Sono solo passate due settimane e non me ne sono accorta.
Devo preoccuparmi?



* 27 gennaio
Il (a posteriori aggiungerei "sacro") terrore di stendere i panni in soffitta. 

* 28 gennaio
Ogni volta che nevica penso sempre a mio fratello che, con due dita sulla pianola, alle medie suonava Neve neve scende lieve.

* 29 gennaio
Credo di avere un vuoto: cos'è successo oggi?

* 30 gennaio
Come riassume in maniera perfetta e cristallina Stefania: "Una sbornia a scrocco & la rievocazione di passate glorie". 

* 31 gennaio
Ho dimostrato al mondo che quello della barista è un lavoro pericoloso. 
Sì, per il cliente.

* 1 febbraio
Cose che succedono se un uomo prenota al ristorante a tuo nome: 





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* 3 febbraio
Pomeriggio all'Ikea - oh, io mi diverto sempre all'Ikea.

* 4 febbraio
12 ore di lavoro consecutive si possono affrontare solo se poi ti rilassi con un piatto di tagliolini allo scoglio alle 2:34 del mattino.

* 5 febbraio
e tornare al lavoro (l'altro lavoro) dopo 3 ore e mezza di sonno è possibile solo previa passeggiata risvegliante nella frescura del primo mattino. E se un nonno-vigile ti aiuta ad attraversare la strada.

* 6 febbraio

I giusti
J.L.Borges

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che premedita un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

* 7 febbraio
Sono andata a correre al parco. O almeno ci ho provato.

* 8 febbraio
Quante cose dovrò diventare prima di essere contenta di me?

* 9 febbraio
Silhouette - splendida mostra dedicata ai papercut di Michela Mazzoli.


PS: sì, ho saltato il 2 febbraio, spero che nessuno se ne accorga.


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Noteworthy Things è un progetto di Pretty in Mad.

domenica 2 febbraio 2014

Apologia della barista imbranata

C'è una legge non scritta per la quale io riesco a fare le cose per bene solo se nessuno mi sta guardando. 
In realtà, probabilmente non le faccio bene nemmeno in quel caso, ma almeno non c'è nessuno a ghignare alle mie spalle. 


Dentro la mia testa di narciso, la pedana del bar è un palcoscenico e le luci sul bancone i riflettori che sottolineano ogni mio gesto. 
Per quanto provi ad essere contenuta, questi gesti risultano sempre troppo plateali:

  • il gesticolare allegro che stermina una fila di bicchieri 
  • la mano che corre alla bocca in cerca di momentaneo ristoro dopo essersi bruciata con la cioccolata calda (l'altra mano continua a tenere il bricco sotto la lancia)
  • la corsa affannosa da una parte all'altra del banco alla ricerca del ghiaccio, che ovviamente non è mai dove ci si aspettava che fosse 
  • eccetera eccetera eccetera. 

La particolare posizione sopraelevata, nella quale mi trovo in quel momento, non mi permette di nascondere agli occhi del mondo ciò che sto mio malgrado combinando. 
Mio malgrado è l'espressione più giusta: faccio la barista mio malgrado. Notare la rassegnazione che questa espressione porta con sé, l'inevitabile sospiro che l'accompagna. 
Ecco, io la barista prima non l'avevo mai fatta. 
Non conoscevo l'arte del caffè e non avevo idea che esistesse una Filosofia del cocktail
Non sapevo che le bottiglie vanno prese per il collo e che lo shaker ti fa venire improvvisamente voglia di recitare il rosario, quando lo devi aprire. 
Sapevo solo che chi lavora al di là di un bancone deve "Amare il contatto con la gente" e questa cosa mi spaventava più di tutte le altre messe insieme, perché soffro talvolta di una peculiare forma di paralisi vocale che oltre il "Come va? Tutto bene?" non mi fa andare. 
Vogliamo poi parlare della gestione della cassa? No, dai. 

Insomma, le premesse non erano di certo le più rosee e se non fossi stata coinvolta nel progetto del locale fin dall'inizio, probabilmente non sarei mai finita a fare i numeri dietro al succitato bancone. 
Numeri notevoli, come si può ben immaginare. 
Ma dai quali ho imparato come comportarmi nelle seguenti situazioni: 

  1. Se ti chiedono "Un Cuba Libre e un Long Island" il segreto è sorridere tantissimo mentre rispondi "Li preparo subito ragazzi!", anche se il Long Island ti è stato presentato come il-cocktail-più-difficile-di-sempre e il Cuba Libre, nella tua ignoranza suprema, non sapevi fosse il vero nome del coca e rum. E il segreto è continuare a sorridere anche mentre li servi, pur se sfiorata dal dubbio che tu abbia di nuovo sbagliato con le dosi. 
  2. Se ti chiedono "Un cappuccino" devi prepararlo senza lasciar trapelare il fatto che a te la schiuma riesce soltanto se mentre la fai pensi a qualcos'altro, metodo sulla cui scientificità avrei in effetti qualche riserva. 
  3. Se ti chiedono "Lo fai l'Irish Coffe?" No. A questa domanda, la risposta deve sempre essere No. 

Il fatto è che io sono goffa per natura. È inutile, ci provo a sembrare aggraziata, quando mi muovo, ma il risultato è sempre più o meno questo: 



Quindi è inevitabile che combini qualche danno, mentre cerco di sembrare una barista provetta. 
C'è da dire che dagli errori imparo: i calici di prosecco non si trasportano in giro per il locale sul vassoio, perché in tal modo saranno destinati inevitabilmente a cadere sul primo malcapitato (e sul suo cappotto e sul suo computer, ma questi sono dettagli). 
I calici di prosecco, d'ora in poi, si appoggeranno sul piano di mescita e la loro comparsa sarà accompagnata da una voce che si modulerà in un flautato "I vostri prosecchi sono pronti, ragazzi". 
La manopola per far uscire il vapore dalla lancia della macchina del caffè si chiuderà solo in senso orario (il fatto che per me sia un dramma riconoscere un senso dall'altro verrà ampiamente trattato al capitolo "Si può sopravvivere anche confondendo destra e sinistra"), perché dall'altro senso produrrà, all'interno del liquido che si sta scaldando, eruzioni vulcaniche di non lieve entità.
I calcoli a mente richiedono una certa quantità di tempo. 
Pensavo, a tal proposito, di esporre il cartello "Non parlare alla barista mentre è alla cassa" quando sono di turno io, nel caso l'espressione persa nel vuoto e il conteggio sulle dita non fossero segnali abbastanza chiari di una certa difficoltà nel portare a termine l'operazione. 
Ora, a mia discolpa vorrei soltanto aggiungere che ho una certa tendenza all'iper drammatizzazione degli eventi.

In tutto ciò, comunque, una sola cosa sapevo fin dall'inizio e una sola cosa mi interessava sul serio: essere gentile. 
Mi sono sempre ripetuta "Va bene la goffaggine, va bene che ogni tanto ti si spacca in mano un bicchiere, va bene che vai a sbattere contro spigoli che il locale stesso non sapeva di avere, ma non importa, tu sii gentile. 
La gentilezza è una chiave, piccola, da tenere sempre in tasca, o appesa al collo. 
Ovunque: dietro al bancone del bar e sull'autobus, al parco davanti al laghetto delle oche e al supermercato. Non dimenticartela mai." 
Se davvero mi serve una difesa, eccola qui.


Durante l'inaugurazione del Cosmonauta
Foto di Melissa Blutitilla Nostini



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