lunedì 28 settembre 2015

Se no me lo dimentico 5 - libri, cocktail e storie edificanti

Dal momento che le circostanze mi richiedono di stare seduta, ho deciso di unire il dilettevole al dilettevole e di buttare giù la puntata numero cinque della ormai mitologica rubrica “Se no me lo dimentico”. Interamente dedicata ai libri, questa volta. 




C'è chi, come ricordo di una vacanza in Trentino, si porterebbe a casa grappe, formaggi tipici, campanacci.
 Io ho scelto una slogatura.  


Comunque, per rassicurarvi tutti, ci tengo a dire che post e foto risalgono entrambi a un paio di settimane fa.
Ora deambulo.


L'ebbrezza della lettura 


Storie di scrittori alle prese con i loro cocktail preferiti e una lista di idee per beveraggi ispirati ai libri: questo post di Ophelinha, Cocktail letterari tra libri e bollicine, me lo metto da parte per studiarmelo bene: è mio preciso dovere di lettrice-barista.

E comunque ho i miei seri dubbi che il gin non faccia puzzare l'alito, checché ne dicesse Fitzgerald.



Per ricordarmi di aggiungere questo libro alla lista di libri da leggere, 
salvo poi comprarne altri non contemplati quando vado in libreria

Marina di Scratchbook ha la capacità di scegliere sempre citazioni che mi colpiscono molto. Come queste.

Mentre morivo di Faulkner è un libro che voglio leggere da tempo. Attendo il prossimo momento in cui avrò bisogno di silenzio.


Letteratura Americana


Holden&Company è un blog che mi piace proprio assai e che consiglio a chiunque ami o voglia conoscere la letteratura americana. Io ci sto trovando moltissimi spunti, ad esempio in questa lista: I 100 Grandi Romanzi Americani secondo me, appena giunta alla puntata numero 4.

In attesa di scoprire se dei restanti 96 ne ho letto qualcuno o se la mia strada è ancora molto lunga (non che la cosa mi dispiaccia), mi soffermo sul bel post dedicato ad American Psychoromanzo a cui mi sento legata particolarmente, perché per me non è solo un libro: è un aneddoto. 



L'aneddoto 


Quando provai a leggere questo libro per la prima volta avevo 16 anni e il mio animo era di un'ingenuità quasi fiabesca. Immaginatevi Biancaneve che, dopo aver preso l'acqua al pozzo e cincischiato con un paio di scoiattoli, si siede nel suo cantuccio a leggere Bret Easton Ellis. Ecco, ero io. Ed ero sconvolta. 
Ciò di cui davvero non mi potevo capacitare era come mi sentivo: come può essere che senta un tale disgusto nei confronti di questa storia, di questo personaggio e allo stesso tempo non riesca a fare a meno di leggerla? Perché vado avanti, se mi sento così colpevole? E che cos'è questa cosa che sento nelle viscere, sarà mica - oddio, no, non questa parola - attrazione? 
Basta, mi dissi, con un tono un po' più perentorio, non posso continuare. Questo libro mi fa male.

La fascinazione che provavo mi appariva così inaccettabile che mi portò a compiere un gesto inconsulto: distrussi il libro. Lo feci a pezzettini piccoli piccoli, in una foga devastatrice che molto aveva in comune con gli apici di follia di Patrick Bateman. Guardai la carta che si accumulava nel sacco e pensai che era cosa buona e giusta, essermi liberata da quell'immondo fardello. Eppure sapevo che era lì. Passò forse qualche ora e mi ritrovai a frugare in mezzo a tutta quella carta spezzettata: trovai due pagine sopravvissute al massacro. Le lessi e le rilessi fino a impararle a memoria.

Un paio d'anni fa ho ricomprato il libro. E me lo sono letta tutto d'un fiato – avevo 10 anni di più e qualche preconcetto in meno. Al momento è tra i miei romanzi preferiti.


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Piccole cose, idee e suggestioni trovate in giro per il web o in giro per la strada: da questo accumulo continuo nasce Se no me lo dimentico, una rubrica senza cadenza precisa. 
Accade quando accade.


mercoledì 2 settembre 2015

A volte, fuggire

È un giorno afoso di luglio, di quelli ancora immersi nel lavoro, negli impegni, nella fatica delle ultime settimane prima dello stacco. Mi vieni a prendere all'uscita dall'ufficio.
“Domani facciamo una passeggiata” ci siamo detti il giorno prima e io e la bambina di 5 anni che ancora alberga in me l'abbiamo presa come una promessa. 
“Scegli: busta A o busta B?” mi dici. Questo gioco l'hai già fatto una volta. Sorrido, perché forse ho capito, e apro uno dei due bigliettini. Ma non pensavo, sul serio non pensavo, che la meta sarebbe stata davvero quella. 



È la sorpresa, la prima ad arrivare, una ventata fresca, dritta in faccia. Ma dietro di lei, correndo, arrivano i dubbi: sono milioni, sono veloci, sono dei perfetti sabotatori. Sanno farsi valere molto più di me. È troppo lontano, dicono. Avremo poco tempo per stare lì. Fa troppo caldo. Non è il caso di... 
Pfui. Li scaccio via, con una manata immaginaria. Zitto, cervello, non ti impicciare. Ho cose più importanti da fare, io. 





Abbiamo scelto l'ora più calda del giorno per partire e in macchina non c'è l'aria condizionata. Ma noi ugualmente andiamo verso nord est, col sole negli occhi. 
Sai che ci sono stata tre volte? ti racconto, due con la scuola, ma la più bella è stata la prima. Avevo sei anni, ero con mia cugina Alessia ed i miei zii ed ero convinta di non essere in Italia. Certo, all'epoca pensavo che in Italia ci fossero solo due città: Napoli e Forlì, e in mezzo tantissima campagna. Ricordo che comprammo due macchine fotografiche giocattolo, io verde e lei rosa, e se guardavi dentro l'obiettivo potevi vedere le fotografie dei punti più belli della città, clic clic clic, uno dopo l'altro. 
Ma chissà quante altre volte devo avertelo detto. Ci sono ricordi che mi porto addosso come gioielli. 





Il viaggio non è poi lungo come pensavamo e non è così tardi quando scendiamo dalla macchina e iniziamo a mescolarci tra la folla perenne, col preciso intento di perderci. 
Quanta bellezza, in questa città così surreale. Potrebbero farmi quasi male gli zigomi per quanto sorrido. 
Ci fermiamo un momento per bere qualcosa, in fondo eravamo usciti proprio per andarci a prendere uno spritz. Il fatto che dall'agognato bicchiere ci separassero 200 chilometri e passa si è rivelato infine un ostacolo di poco conto.
È un momento di tranquillità pura, un regalo che ci concediamo, un brindisi e quattro chiacchiere, mentre lo sguardo vaga intorno intorno, senza nessuna fretta, pigro e abbacinato. La città galleggia, emerge e s'immerge, si sbriciola, sfugge. 




La nostra passeggiata riprende. Ci piace farci incantare. Il vociare, i ciottoli, le bancarelle, l'acqua, i palazzi, i ponti. L'ombra e il sole, il buio e l'oro, una via, un'altra ancora. E poi, all'improvviso, il silenzio. Beh, certo, se escludiamo i gabbiani. 
Chissà dove siamo andati a finire. Tu stai già immaginando di girarci un film, tra questi palazzi di mattoni. A me si è scaricata la macchina fotografica proprio quando il cielo cominciava ad arrossire.
È ora di cena, ormai, quando ci decidiamo a chiedere la via per il centro ad un passante solitario. 
“Siete dalla parte opposta” ci risponde “Vi siete persi?”
Succede, quando esci senza una bussola in tasca.




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