domenica 2 febbraio 2014

Apologia della barista imbranata

C'è una legge non scritta per la quale io riesco a fare le cose per bene solo se nessuno mi sta guardando. 
In realtà, probabilmente non le faccio bene nemmeno in quel caso, ma almeno non c'è nessuno a ghignare alle mie spalle. 


Dentro la mia testa di narciso, la pedana del bar è un palcoscenico e le luci sul bancone i riflettori che sottolineano ogni mio gesto. 
Per quanto provi ad essere contenuta, questi gesti risultano sempre troppo plateali:

  • il gesticolare allegro che stermina una fila di bicchieri 
  • la mano che corre alla bocca in cerca di momentaneo ristoro dopo essersi bruciata con la cioccolata calda (l'altra mano continua a tenere il bricco sotto la lancia)
  • la corsa affannosa da una parte all'altra del banco alla ricerca del ghiaccio, che ovviamente non è mai dove ci si aspettava che fosse 
  • eccetera eccetera eccetera. 

La particolare posizione sopraelevata, nella quale mi trovo in quel momento, non mi permette di nascondere agli occhi del mondo ciò che sto mio malgrado combinando. 
Mio malgrado è l'espressione più giusta: faccio la barista mio malgrado. Notare la rassegnazione che questa espressione porta con sé, l'inevitabile sospiro che l'accompagna. 
Ecco, io la barista prima non l'avevo mai fatta. 
Non conoscevo l'arte del caffè e non avevo idea che esistesse una Filosofia del cocktail
Non sapevo che le bottiglie vanno prese per il collo e che lo shaker ti fa venire improvvisamente voglia di recitare il rosario, quando lo devi aprire. 
Sapevo solo che chi lavora al di là di un bancone deve "Amare il contatto con la gente" e questa cosa mi spaventava più di tutte le altre messe insieme, perché soffro talvolta di una peculiare forma di paralisi vocale che oltre il "Come va? Tutto bene?" non mi fa andare. 
Vogliamo poi parlare della gestione della cassa? No, dai. 

Insomma, le premesse non erano di certo le più rosee e se non fossi stata coinvolta nel progetto del locale fin dall'inizio, probabilmente non sarei mai finita a fare i numeri dietro al succitato bancone. 
Numeri notevoli, come si può ben immaginare. 
Ma dai quali ho imparato come comportarmi nelle seguenti situazioni: 

  1. Se ti chiedono "Un Cuba Libre e un Long Island" il segreto è sorridere tantissimo mentre rispondi "Li preparo subito ragazzi!", anche se il Long Island ti è stato presentato come il-cocktail-più-difficile-di-sempre e il Cuba Libre, nella tua ignoranza suprema, non sapevi fosse il vero nome del coca e rum. E il segreto è continuare a sorridere anche mentre li servi, pur se sfiorata dal dubbio che tu abbia di nuovo sbagliato con le dosi. 
  2. Se ti chiedono "Un cappuccino" devi prepararlo senza lasciar trapelare il fatto che a te la schiuma riesce soltanto se mentre la fai pensi a qualcos'altro, metodo sulla cui scientificità avrei in effetti qualche riserva. 
  3. Se ti chiedono "Lo fai l'Irish Coffe?" No. A questa domanda, la risposta deve sempre essere No. 

Il fatto è che io sono goffa per natura. È inutile, ci provo a sembrare aggraziata, quando mi muovo, ma il risultato è sempre più o meno questo: 



Quindi è inevitabile che combini qualche danno, mentre cerco di sembrare una barista provetta. 
C'è da dire che dagli errori imparo: i calici di prosecco non si trasportano in giro per il locale sul vassoio, perché in tal modo saranno destinati inevitabilmente a cadere sul primo malcapitato (e sul suo cappotto e sul suo computer, ma questi sono dettagli). 
I calici di prosecco, d'ora in poi, si appoggeranno sul piano di mescita e la loro comparsa sarà accompagnata da una voce che si modulerà in un flautato "I vostri prosecchi sono pronti, ragazzi". 
La manopola per far uscire il vapore dalla lancia della macchina del caffè si chiuderà solo in senso orario (il fatto che per me sia un dramma riconoscere un senso dall'altro verrà ampiamente trattato al capitolo "Si può sopravvivere anche confondendo destra e sinistra"), perché dall'altro senso produrrà, all'interno del liquido che si sta scaldando, eruzioni vulcaniche di non lieve entità.
I calcoli a mente richiedono una certa quantità di tempo. 
Pensavo, a tal proposito, di esporre il cartello "Non parlare alla barista mentre è alla cassa" quando sono di turno io, nel caso l'espressione persa nel vuoto e il conteggio sulle dita non fossero segnali abbastanza chiari di una certa difficoltà nel portare a termine l'operazione. 
Ora, a mia discolpa vorrei soltanto aggiungere che ho una certa tendenza all'iper drammatizzazione degli eventi.

In tutto ciò, comunque, una sola cosa sapevo fin dall'inizio e una sola cosa mi interessava sul serio: essere gentile. 
Mi sono sempre ripetuta "Va bene la goffaggine, va bene che ogni tanto ti si spacca in mano un bicchiere, va bene che vai a sbattere contro spigoli che il locale stesso non sapeva di avere, ma non importa, tu sii gentile. 
La gentilezza è una chiave, piccola, da tenere sempre in tasca, o appesa al collo. 
Ovunque: dietro al bancone del bar e sull'autobus, al parco davanti al laghetto delle oche e al supermercato. Non dimenticartela mai." 
Se davvero mi serve una difesa, eccola qui.


Durante l'inaugurazione del Cosmonauta
Foto di Melissa Blutitilla Nostini



13 commenti:

  1. Norma! Durante gli anni del liceo, d'estate è capitato anche a me fare la barista e non ti dico cosa sono riuscita a combinare - considera che era anche un ristorante di pesce e spesso stavo in cucina e servivo ai tavoli e un dì ho scambiato un rospo (un pesce orribile) appena uscito dalla cucina per un piatto smangiucchiato da smaltire (pensa te quanto puo' essere brutto) e lo stavo portando via dal piano per buttarlo quando il padrone mi blocca prontamente -diciamo anche un po' adirato- insomma, non ti preoccupare, noi goffe alla fine sopravviviamo sempre, goffe restiamo eh ma con orgoglio. Quante cose abbiamo in comune, ti mando un bacione

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    1. Oddio, adesso dovrò resistere alla tentazione di andare a cercare immagini di questo rospo, potrei pentirmene amaramente 0_0
      Comunque sì, tante cose in comune :)

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    2. No dico, hai visto quant'è brutto!

      Poverammè

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  2. Io già ti faccio gli applausi, perché al tuo posto avrei già distrutto tutti i bicchieri esistenti sul pianeta. Per i conti po ti sono vicina, mi sarà capitato due volte nella vita di dover stare alla cassa e meno male che qualcuno mi ha fermato altrimenti davo resti spropositati.
    Però la gentilezza è sempre una chiave magica per farsi apprezzare, goffaggine inclusa! ;-)

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    1. Credo che i bicchieri si autodistruggano. Non so spiegarmi altrimenti la facilità con cui si rompono. Goffaggine o non goffaggine :D

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  3. Ahahahah! Bel post!
    Muoio dalla curiosità, ma perché non fai l'Irish Coffee?

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    1. hahaha, no tranquilla, messa alle strette lo faccio ;)
      Semplicemente non ho ancora capito come montare decentemente la panna!

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  4. La gentilezza vince su tutto. Ne sono convinta pure io :) coraggio!

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  5. Che bel post! Mi hai rasserenato la serata...

    La gentilezza è quella piccola chiave che anch'io tengo sempre in tasca o appesa al collo, è una cosa troppo importante. Purtroppo riscontro spesso che la gente vuole essere trattata con gentilezza, ma non restituirla. Ecco, queste sono persone che mi fanno sorridere anche di più... è il mio modo di prenderle un po' in giro! ;)

    Ciaaoo!

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    1. Che bello averti rasserenato la serata...ne sono felice! :D

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  6. Guarderò i baristi con occhi diversi, lo giuro. Però io sono una cliente modello, ci tenevo a dirlo XD

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    1. :D la cosa divertente è che ora molti clienti mi guardano con occhi diversi....mi viene il dubbio che abbiano letto il post.

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