Mi è venuto in mente quando preparavo il caffè nella cucina del tuo vecchio appartamento. La cucina dalle mattonelle anni '70, nel palazzo seicentesco costruito su resti romani. Un intreccio di storie che stava ancora in piedi.
Mi è venuta in mente la luce che entrava dalla grande finestra scrostata in cucina; la ricordo così chiara, come se fosse sempre primo pomeriggio. Del resto, molto probabilmente quel caffè lo stavo preparando in un primo pomeriggio. Se ti affacciavi alla finestra, potevi vedere un cortiletto interno e il muro abitato dall'edera, che, col suo ciclico passare da ramo secco a foglia scura febbricitante di api, faceva sempre la mia meraviglia. Ogni tanto mi appoggiavo alla finestra e guardavo fuori, rimanevo lì ferma fino a che non mi dimenticavo che cosa stavo guardando, magari dopo aver fatto il caffè. Di solito lo faccio ma non lo bevo mai. Lo bevi tu.
Mi è venuta in mente quella luce, bianca in maniera irreale, il palazzo deformato dal vetro della finestra. Nella luce c'era davvero qualcosa di non naturale. C'era qualcosa di vecchio; no, di fuori da questo tempo. Qualcosa che sfuggiva al momento che stavamo vivendo - quel caffè, quel pomeriggio - perché quel che era stato vissuto prima era più importante, più presente. Più presente di noi.
In quella luce, in quella casa non c'era nulla che si potesse possedere: era già tutto così irrimediabilmente posseduto dal tempo, da un tempo vissuto da altri. Sopra ogni oggetto, sopra ogni parete se ne avvertiva ancora l'alone, come di muffa; ma era la luce, era nella luce che si manifestava così apertamente - la luce indistinta e inafferrabile di chi, in quelle stanze, aveva vissuto una volta.
Foto René Mt2