Dappertutto parlano già di Natale.
Io vorrei godermi questo novembre incerto senza pensare a campanelle tintinnanti e batuffoli di ovatta sparsi sul presepe a mo' di neve – credo sia il ricordo più vivido dei Natali della mia infanzia, inutile dirlo che pure all'epoca ero insopportabilmente puntigliosa e contrastavo con cipiglio l'idea della neve a Betlemme, ma c'era sempre qualche parente che la spargeva a manciate. Il mio ruolo, comunque, era disporre gli animali, i pastorelli e i vari abitanti in maniera armoniosa, coi Re Magi che fino al 6 di gennaio si nascondevano dietro a una palma. Uno di loro era già in ginocchio, 'sto poveretto, per un mese intero, sotto le fronde, in mezzo alla neve. E resisteva. Vedi, Norma, cosa significa avere uno scopo?
Ma io non volevo parlare del Natale e del ginocchio sbucciato di Melchiorre.
Volevo parlare di novembre. Del limbo, quindi. Di una zona paludosa, affaticante. Del pantano attorno alle gambe.
Novembre, dico a te: ho un desiderio. Darti dignità.
Non è colpa tua se ti hanno piazzato in mezzo a ottobre – wow, è arrivato l'autunno! I colori caldi, le zucche, il foliage, le punte degli scarponcini in mezzo alle distese di foglie! – e dicembre – wow, è arrivato Natale! Le lucine! Il pungitopo! Quest'anno farò un calendario dell'Avvento col cartone ondulato e dentro tanti piccoli regalini handmade! In mezzo a questa gioia isterica, tu sei un lunghissimo, inevitabile lamento.