Alle prese col contenuto del mio armadio. Foto gentilmente scattata a tradimento da René Mt2. |
Un altro armadio è possibile.
Certo, non il mio.
Ma quello di Koko Pi, del blog Ordinata Mente, non dubito che lo sia. Ogni volta che leggo un suo post penso a quanto è bella la varietà degli esseri umani, che permette a taluni di vivere in armonia con gli oggetti e i luoghi che li circondano.
Oggi Koko Pi parla di armadi, per l'appunto. Di decluttering degli armadi.
Decluttering, ovvero non solo mettere in ordine, ma disfarsi di tutto ciò che non serve.
Ho provato a farlo un mese fa in cucina e in effetti ho scartato un sacco di cose – non so quanti esemplari di passaverdure ho potuto contare. Solo che le buste contenenti gli scarti giacciono ancora sul pavimento da allora. In attesa che si autoportino in cantina, credo.
Ma mi è così difficile pensare che si possa alleggerire anche l'armadio.
Rido solo a leggere il consiglio "pochi vestiti, ma buoni, facilmente abbinabili tra di loro".
Il mio armadio è l'elogio dell'inabbinabile. Il mio armadio è come l'intero mio cervello fattosi stoffa.
Il punto è che negli anni ho accumulato una serie di cose incredibili e strabilianti:
1. Capi d'abbigliamento comprati da me in ere in cui il mio gusto era ancora lungi dal formarsi.
Esempio: una gonna di pizzo nero col bordo di spessissimo velluto bordeaux, dotata di fibbie che non si chiudono, sopra e sotto la quale non ho mai saputo cosa mettere.
2. Capi d'abbigliamento comprati da una me adolescente, di gusto tuttavia accettabile e che mi vanno ancora.
Quindi perché eliminarli, mi dico, se posso continuare ad usarli? Ho ste due gonne di lino ormai trasparenti comprate al mercato nel 2002, che ormai fanno quello che vogliono loro. Io non le metto nemmeno più. Ho provato a cacciarle via brutalmente, ma nulla, si ripropongono sempre.
Non le posso più vedere.
3. Capi d'abbigliamento regalati da parenti o amici il cui gusto si discosta alquanto dal mio.
Esempio: di solito cose dai colori vistosamente acidi, ma annovero anche una spilla a forma di fiore leopardata. E chi mi conosce sa cosa penso del leopardato – che sta bene solo sui leopardi.
Esempio: di solito cose dai colori vistosamente acidi, ma annovero anche una spilla a forma di fiore leopardata. E chi mi conosce sa cosa penso del leopardato – che sta bene solo sui leopardi.
4. Capi d'abbigliamento ereditati: lista senza fine, nella quale svettano
- bolerino a righe arcobaleno - per quando mi travestirò, finalmente, da Miominypony
- sottoveste lilla con prominente scollo a V e preziosi inserti in pizzo. Sexy all'incirca come il capo di cui sotto, ovvero
- abito nero a margheritine, lungo fino ai piedi e largo quanto tutto il bilocale, che sto tenendo da parte per il giorno in cui imparerò a cucire – e ne farò un lenzuolo, probabilmente.
- gilet fuxia con bottoni dorati. Non so onestamente che uso potrei mai farne, ma è lì.
Gli abiti ereditati sono quelli di cui vado più orgogliosa, lo devo ammettere.
Davvero, sorrido e gongolo quando ad un "Ma che carino questo vestitino a fiori" posso rispondere con un "L'ho raccattato da Zia Maria / dalla cugina dell'amica di mia sorella / dalla nipote della vicina di pianerottolo / l'ho barattato con due libri e una sciarpa / l'ho trovato".
Una delle mie gioie consiste proprio nel mettere assieme i vestiti più distanti tra loro, nel riuscire a creare il mio look della giornata grazie al contributo di persone sconosciute e capi provenienti dalle più disparate epoche e generazioni.
Che poi se a un certo punto uno si vuole liberare di quella giacchetta a righine colori pastello decorata di pailettes io lo capisco, eh, è che qualcosa in me mi impedisce di riflettere e dirmi "Non la userai mai. Non ti permettere di portarla in casa."
Dov'è mia sorella quando serve? L'unica persona al mondo il cui NO secco e perentorio è pura legge. Soprattutto se ti stai avvicinando quatta quatta all'ennesimo capo floreale.
Il problema di base, però, è esistenziale.
Io non sono a tinta unita. E abbinare tra loro le fantasie è un'arte sottile che richiede pazienza e tempo e la rabbia necessaria a rovesciare tutto il contenuto dell'armadio su letto e poltrona per cercare, nel marasma, qualcosa che non abbia, a sua volta, fiori pallini o righe.
O che abbia, quantomeno, un'aria neutra.
Ecco svelata la ragione per cui la poltrona affianco al letto non si vede mai, se non in giorni tersi, quando mi decido a spalare le nevi di abiti perenni che la ricoprono.