venerdì 22 marzo 2013

Turisti

Ci siamo incontrati a metà strada.
Incontrarsi a metà strada mi piace sempre molto. È un po’ una gara, mi fa affrettare il passo per riuscire ad arrivare un po' più lontano della metà, e festeggiare dicendomi “Ho fatto prima io!”. Ma soprattutto è una sorpresa, mi fa camminare ad occhi spalancati, col sorriso, mentre allungo la testa dietro ogni angolo, per scorgere se l'altra persona arriva.
Di certo è una soddisfazione, perché la metà la supero sempre.




"Una passeggiata vi va?" Era il cielo a chiederlo, era la primavera, per niente timida, per il giorno del suo ritorno. E la primavera si festeggia con un gelato – no, non c'è altro modo. "Per me alla stracciatella, grazie."
Di chiacchiera in chiacchiera, il cappotto al braccio, la sciarpa legata alla borsa, ci siamo inoltrati nelle vie del centro, finché non ci siamo persi.

René si era infilato in qualche cunicolo a fare fotografie, io avanzavo piano, un passo al sole un passo all'ombra, e ogni finestra e ogni mattone hanno preteso la mia attenzione. “Guardaci” hanno sussurrato. Ci tenevano davvero. Allora li ho guardati e a un certo punto mi è sembrato di essere in un posto nuovo.

Ho visto comparire una torre, e una finestrella sopra un tetto, in una via che ho percorso almeno 730 volte, andata e ritorno, per un anno intero.
Ho visto un locale serale aperto nella luce del pomeriggio, le sedie ribaltate sui tavoli, i bicchieri e le bottiglie in fila nell’ombra, custodi di un silenzio e di una calma momentanei, ma che richiamavano già un vociare sommesso, un tintinnio di vetri.
Alzando lo sguardo ho incontrato i palazzi riflessi sulle finestre, una tenda turchese, una libreria invitante, in un appartamento. Ho visto una casa bianca con la porta verde, con un nano a fare la guardia, pendagli trasparenti appesi alle finestre del piano di sopra, e per un attimo, con la mente, mi sono trasferita lì. 




Dentro di me si è fatta la quiete.
Potrei essere ovunque, mi sono detta. Abito in questa città da un numero sconsiderato di anni, eppure ora potrei essere ovunque. Non conosco questo posto, non lo posso giudicare. Non conosco la vita dietro quelle belle tende. Non ho mai visto lei, lei non ha mai visto me.



Ho recuperato dalla borsa l’unico mezzo con fotocamera di cui sono fornita e mi sono messa anch'io a scattare delle fotografie. Così, per provare a guardare le cose dentro un rettangolo.





La nostra passeggiata procedeva in silenzio, in rilassante solitudine condivisa, quando un gruppo di signore ci ha superato, dicendo, con sorridente convinzione: “Questi sono turisti”.

Turisti. Sì. In un certo senso, sì.

giovedì 14 marzo 2013

Tre cose belle

Ovvero tre regali al dì

Nelle mie rasserenanti passeggiate tra blog e siti vari, sono incappata, non so più come, in tre cose belle. Non so più come sul serio. 
Trovo molto rilassante perdermi tra un sito e l'altro, seguire un'immagine, fiondarmi su un link, sbirciare titoli, infilarmi in un'altra pagina ancora...alla fine della mia passeggiata, mi rimangono impresse le idee, a volte intere storie, a volte solo passaggi vaghi, ma la sensazione che ho è quella di essermi, in un qualche modo, arricchita. Recuperare il percorso fatto è impossibile. È un po' come rintracciare il filo dei pensieri, quando la testa galleggia leggera leggera, e non lo sa nemmeno lei, a cosa sta pensando, e come faccia a passare da "pesciolino rosso" a "quale libro potrei leggere ora" nel giro di un mezzo secondo. 

Ecco, dicevo, in questo mio girovagare naso all'aria, ieri ho incontrato tre cose belle
In realtà lo dovrei scrivere così #3cosebelle, perché viaggia su Twitter, ma il mio rapporto con il suddetto social network è tale che non sapevo nemmeno come digitare il cancelletto sulla tastiera del computer. 
Se su Twitter scrivi #3cosebelle, poi racconti tre cose belle che ti sono capitate durante la giornata. Funziona così. 
La cosa mi ha subito allettata al punto che ho preso la mia agendina e le ho scritte di getto, le mie tre cose belle di ieri. Le ho scritte e le ho guardate con gusto e compiacimento, come avrei potuto guardare un bel disegno appena fatto in quinta elementare. Con gli occhi contenti. 
Mi sono detta: fallo, è proprio bello, è proprio utile. Soffermarsi a pensare alle cose belle può essere un esercizio, piccolo, una dolcezza, un regalo. 
Mi sono chiesta: chissà se sarà facile, trovare ogni giorno tre cose belle. Ma lì per lì era per me così esaltante l'idea di dover scrivere in un quaderno tutti i giorni (sono una feticista dei quaderni e della scrittura) che mi sono detta sì, le troverò, è normale. Male che vada scriverò tutti i giorni: la cosa bella di oggi è che ho scritto nel mio quadernetto. 

Oggi sono andata a cercare di nuovo notizie al riguardo. 
E ho scoperto che 3cosebelle nasce da un'idea di Fraintesa, che la racconta qui sul suo blog
È stato davvero piacevole scoprire che, fin da subito, ho avuto la stessa sensazione che descrive lei, pur avendo iniziato solo ieri questo giochino. Ed è quella sensazione di serenità che mi ha portata a dirmi, guardandomi intorno: "Questa potrebbe essere una delle 3 cose belle di oggi". 
La sensazione che mi sentivo addosso oggi, passeggiando sotto la pioggia per andare alla fermata dell'autobus, sotto un ombrello troppo piccolo e troppo malconcio, affondando in pozzanghere simil Fossa della Marianne, era proprio quella. Cercare cose belle. 
È un modo per mettere la mente in moto, per imparare ad essere attenti, ad essere curiosi, ad essere istintivi. Un po' come quando si fanno foto, mi direbbe René. Ecco, sì, mi sono sentita così. 

Per cui, svolgo anche oggi il mio esercizio, ed eccole qua, le mie tre cose belle: 

  1.  ho fatto la spesa per una bella cenetta che voglio preparare domani sera 
  2.  ho fatto una telefonata al lavoro e sono sopravvissuta! (i miei precedenti al riguardo sono stati alquanto disastrosi)
  3. sono scoppiata a ridere da sola, apparentemente senza motivo. Quando me ne sono resa conto, sono rimasta per un attimo sorpresa, poi ho riso ancora di più.
Adesso mi resta una sola cosa da fare: imparare ad usare Twitter.




giovedì 7 marzo 2013

Da vecchia

Spero, da vecchia, di essere simpatica.
Di non indossare pellicce o scialli color leopardo, vistosi collier o altezzosi turbanti.
Vestiti a fiori andranno benissimo, una spilla sul cappotto, un cappello floscio. Nelle tasche, mani artritiche e una penna che perde inchiostro. Spero.
Mi immagino che, come sempre, salirò sull’autobus e leggerò un libro, o guarderò fuori dal finestrino, mescolando pensieri e paesaggio.
Credo che ascolterò le conversazioni degli altri e ne immaginerò le storie. Forse attaccherò bottone con gli altri passanti, forse, come adesso, me ne starò zitta zitta. Mi piace pensare che avrò tante cose da raccontare.

Spero, da vecchia, di essere simpatica, dicevo.
O per lo meno gentile.
Dotata di uno sguardo cangiante, di una voce che si possa modulare. Niente di eterno, niente di impassibile. Niente di severo o petulante.
Spero che il vociare di un vespaio di bambini mi farà affiorare sulle labbra un sorriso, non un rantolo bilioso e ostile. Spero che una risata squillante mi provocherà gioia, senza scucire antiche ferite ulcerine. Spero di amare la vita delle piccole creature, tutte quante, e di meravigliarmi ancora se un merlo, quando atterra, alza la coda per non cadere.

Non mi sarei mai ritrovata a dissertare sulle gioie di una senilità consapevole, se stamattina non avessi assistito ad un epico scontro generazionale.

L'autobus, semivuoto, sonnecchiante, è stato preso d'assalto da una scolaresca in gita. L’esercito di nani, con maestre al seguito, ha conquistato interamente la vettura, si è aggrappato ai pali, ha occupato sedili. Ogni spazio vitale è stato dichiarato territorio loro e dei loro temibili stridolii.
Non ci potevano credere: una gita, un autobus! In due per sedile, gli occhi sgranati, guardavano fuori, sghignazzavano tra loro, quelle piccole cicale.

A questi scalpitanti nemici dell’ordine pubblico si sono presto contrapposte due anziane signore, una con scialle leopardato, l’altra con turbante e occhiali da sole, pronte a far valere il loro diritto ad una corsa in autobus silenziosa e serena.
Signora Leopardo, giustiziera impietosa, apostrofa i festanti seienni con voce di pietra: “Basta con questa confusione! Tu, al tuo posto, non ti muovere!”.
Non ottenendo risultato alcuno, rincara la dose Signora Turbante, che, con voce al limone, aggiunge uno sferzante “Siete dei maleducati!”.
Più che le parole, è stato il puro sdegno dei loro zigomi altezzosi a ferirmi. La pretesa di essere nel giusto – e la coincidenza di giusto con ordine e silenzio, con catatonia e asservimento. Il vitale, il giocoso, il saltellante non erano concepibili, di fronte ad una moralità sì ferrea e decisa. Il disordine dei manifestanti andava punito e offeso.
Certo. In realtà hanno offeso me, mica i seienni. Loro hanno continuato bellamente a cicalare, con tanto di “Ciao ciao vecchia” gridato tra risolini, quando Signora Leopardo ha abbandonato austera il campo di battaglia.

Simpatica, dicevo, da vecchia. 
Ma anche solo gentile basterebbe. Davvero.
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