Sono alla fermata dell'autobus, come tutte le mattine, quando, dall'altra
parte della strada, vedo Lei.
È appena scesa da una linea suburbana e, ghignante, si getta nell'attraversata del viale, noncurante del pericolo. Trafelata e ridente, raggiunge la mia sponda e si pone anch'essa in
freddolosa attesa dell'11.
L'ho già incontrata altre volte, alla fermata dell'autobus: è pazza e stralunata, nel senso più schietto del termine, e in quanto tale trova in me fiducia e conforto.
Parla ad una velocità sorprendente, intervallando le corse
incespicate della sua voce roca a risate profonde provenienti
direttamente dai visceri.
Ogni frase, tratatatata, è una mitragliata,
capisci forse la prima e l'ultima parola; la testa ticchetta di qua e di
là, e scatta, ogni tanto scatta, come se all'improvviso si rendesse conto di essere su questa Terra e si rispedisse immediatamente nel suo mondo fuligginoso di aspettatrice di autobus.
Lavora la notte, ma non saprei dire dove, e torna a casa la
mattina, ingiubottata in un piumino nero, i capelli color mogano
profondo tutti stropicciati, le rughe, il sorriso perenne sotto il naso
aquilino.
Mi chiede se l'11 e già passato perché deve tornare a casa e
fa freddo e non può aspettare fuori, in estate va anche bene, ma in
inverno è freddo, se aveva tempo andava al bar, ma per fortuna che
l'autobus è arrivato in tempo per prendere l'11, se no come faceva, deve
tornare a casa, e fa freddo, hahahahah - risata profonda.
Fa tutto lei, si domanda e si
risponde e ride, poi si ricorda che mi ha già vista, in effetti a
prendere l'11 siamo in tre, e il biglietto vale ancora? si vale ancora,
dura un'ora, eh si vale ancora, hahahahhahahahahaha.
Saliamo
sull'autobus.
Subito percorro il corridoio e vado a sedermi in fondo, come sempre, per
lasciare scorrere i pensieri e il paesaggio, e Lei prende posto a metà
autobus, il che tiene la mia coscienza al riparo dai sensi di colpa.
Quand'ecco...si
avvicina.
"Facciamo la stessa strada, prendiamo la stessa linea e..."
non le lascio il tempo di far partire la raffica che col più gentile sorriso dico "A me
il viaggio in autobus piace farlo in silenzio" - un serial
killer - e
lei si siede borbottando qualcosa, ma sempre ridendo, sempre con le
rughe alzate.
Dopo un minuto, o forse due, glielo concedo, mi chiama.
"Senti ma questo, ma
questo qui è bianco o rosso? questo brufolo qui è bianco o rosso?" e mi
indica l'inflorescenza albina che le orna il mento, tutta impettita nel
suo turgore mattutino.
"È bianco" rispondo io, e torno con gli occhi
sulla strada, mentre lei tra sé inizia a dire
"Eh, allora lo devo mandare via, eh è bianco, allora è da schiacciare, si adesso lo posso schiacciare".
"Eh, allora lo devo mandare via, eh è bianco, allora è da schiacciare, si adesso lo posso schiacciare".
Il resto del viaggio è proseguito nel silenzio più totale.