giovedì 29 novembre 2012

Due anni

Sono passati due anni.
Due anni interi, in cui intanto si svolgeva una vita. In questi due anni ho pensato spesso a lei, con un piccolo timore, con un po’ di riverenza.
Sarà cambiata, mi dicevo, non la riconoscerò. E forse lei non vorrà nemmeno farsi riconoscere.
Era questa la mia più grande paura. Trovarla fredda, distaccata, indifferente. Capire che non era intenzionata a farsi scoprire da me, mai più. Perché in fondo l’avevo abbandonata. Sono stata io ad allontanarmi, appena ho avuto il sentore di un suo imminente cambiamento.
Questi pensieri mi hanno resa triste, e poi preoccupata, ansiosa, sempre indecisa.
Finché non ho sentito per caso parlare di lei. Al solo sentirla nominare, sono stata invasa da un entusiasmo frizzantino, come se mi avessero stappato una bottiglia di spumante nelle vene. Dovevo subito correre da lei! Perché io, davvero, non vedevo l’ora di rivederla.

Cade una pioggerella leggera, quando esco per andare a trovarla. Una di quelle piogge impalpabili e dolci, quasi eteree, ma un pochino cocciute, se decidono che hanno voglia di impregnarti il cappotto. È già buio, anche se non sono ancora le sei. Il passo svelto come al solito, la testa un poco china, vado dritta verso la mia destinazione. Il portone del palazzo è spalancato, il grande scalone silenzioso e vuoto. Salgo senza nemmeno pensare. Seguo le luci delle sale, il vociare sottile. Mi guardo intorno, non so bene dove andare, non so dove trovarla.
"Ha bisogno?" la signora al punto informazioni mi rivolge uno sguardo gentile, e in quel momento capisco. Capisco che dovrò parlare, dovrò chiedere, se voglio sapere dov’è.
"Ehm, sì…la biblioteca moderna?"
Lo spumante che mi gorgogliava nelle vene punta dritto alla mia testa. Scoppietta e sale ad una velocità sconvolgente, bruciante e allegro come ad una festa, e mi si catapulta in faccia senza che io lo possa fermare. Mi incendia. Non mi posso vedere, e ne sono contenta, perché so di non essere più del mio rassicurante color osso di luna. So di essermi accesa, come un falò, come un semaforo, come vino in un bicchiere. Un vin brulé.

Quando finalmente entro in biblioteca mi sembra di avere 6 anni e di avere imparato a leggere ieri. Mi imbevo gli occhi di libri, con il sorriso che galleggia, il respiro ancora affannato, ancora intimidito.
Lei è cambiata, questo è vero, ma solo perché si trova in uno spazio diverso, solo perché ora devo salire le scale, per arrivarci. Bloccata da uno scalone, non mi sono più fatta vedere per due anni interi. Se fosse una che se la prende, si sarebbe fatta trovare chiusa. E invece i suoi libri sono tutti qua, i suoi scaffali si protendono verso di me perché io li sfiori. Non mi avvicino subito – sono lenta, nel fare conoscenza - e li circumnavigo ancora un po’, camminando piano, le guance rosse, le labbra all’insù.
Il cuore è emozionato, e ho paura che lo si possa sentir tamburellare, con questo silenzio.

domenica 4 novembre 2012

Almeno un'ora

La regola "Scrivere almeno per un'ora tutti i giorni" è da me seguita con la stessa costanza che dedico all'altro unico impegno extra lavorativo serio che mi sono presa: "Fare un po' (è sempre  molto rassicurante la vaghezza dell'un po') di addominali tutti i giorni". In un pomeriggio particolarmente ispirato ne faccio 12, il giorno dopo ho i crampi e decido con soddisfazione che il mio corpo si è allenato abbastanza e che i prossimi 12 li posso fare il mese venturo. I miei confronti con la penna sono altrettanto fulminei e il risultato è che non arrivo mai a nessun risultato. Se non avvertissi dentro, proprio dietro ai miei riluttanti addominali, l'urgenza della scrittura, non starei certo qui a crucciarmi, e ritornerei al mio bell'hobby pratico e concreto, che potrebbe essere il tiro al piattello o il punto croce. Ma qualcosa ha fatto sorgere in me, alla saggia età di 7 anni e tre quarti, l'idea che io dovessi scrivere, per diletto e per necessità. Ora che la necessità è stata servita e che mi ritrovo a scrivere per lavoro (niente di eclatante, di solito parlo di olive), è la parte del diletto ad avvertire maggiormente la mancanza delle mie attenzioni. 
"Scrivi un'ora - almeno - tutti i giorni" sta scritto a pagina 40 del mio diario di terza superiore. 
"Scrivere un'ora tutti i giorni!!!" esclamo a diciott'anni, tra un delirio filosofico e l'altro.
"Norma, per favore, scrivi! Basta un'ora!" mi imploro raggiunta la soglia dei ventidue, persa tra i flutti del mio naufragio universitario. Devo ammettere che è stato piuttosto sconvolgente sfogliare i miei vecchi diari e scoprire che in tutti quanti avevo scritto la stessa cosa. Un certo orgoglio, invece, si è affacciato sul mio volto quando mi sono accorta che la promessa non l'avevo mai mantenuta. Vecchia briccona! mi sono detta, dandomi una gomitata, non cambi proprio mai! Eh, no. In effetti no.

Il desiderio di mettermi a scrivere mi coglie sempre in maniera improvvisa e spropositata, ma o non è il momento giusto o semplicemente le mie mani preferiscono starsene belle comode nelle loro tasche. Il diario è sempre lì, ma raccoglie solo appunti veloci, una parola o due per ricordarmi che guardando quell'albero ho immaginato quel mondo. E finisce lì.

Sono una di quelle persone che, se potesse, scriverebbe camminando. Il pensiero segue il passo ed è molto più arioso, molto più leggero della parola scritta. Segue un filo, non incontra ostacoli, non si incarta mai. 
Oppure sono i luoghi o gli istanti velocissimi a dirmi di scrivere. Mi capita di avvertire il pulsare di una storia, di appropriarmene completamente, sentire che la comprendo e che potrei raccontarla all'universo, e poi girarmi un secondo e perderla. 
Se si potesse in qualche modo registrare quello che, sommessamente, ti dicono i passanti, o le case in una via, il tappeto umido di foglie nel cortile della scuola, il signore zoppicante che ti chiede indicazioni. Se gli attimi potessero parlare e dirti loro stessi come vorrebbero essere descritti, o se l'impulso dal cervello alla mano fosse più veloce. Se, più di ogni altra cosa, non ci fossero la paura, l'inibizione, il perfezionismo sterile a imporsi tra la sensazione e l'azione...

Ogni volta che mi prende l'impulso di scrivere, alla fine, di solito, mi metto a leggere. E il risultato, in genere, mi convince di più.


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