Sabato mattina. Ore 9. È come se fossero le 7 di un qualsiasi altro giorno della settimana.
L'appartamento è pervaso da un tale silenzio, interrotto appena dai piccoli rumori degli abitanti del condominio – una tapparella che si alza, la lavatrice al piano di sopra, il mescolio del cucchiaio nel bricco del latte, quel suono che sa di risveglio come poche altre cose al mondo. Nessuna voce.
Le tende filtrano la luce del giorno, un cielo che immagino di un azzurro tenue si riversa nella stanza, ricoprendo ogni cosa di un chiarore che mi pareva non ci fosse, fino a ieri.
È come se l'aria avesse leggermente cambiato di colore, come se fosse divenuta all'improvviso più limpida.
Altrove, nel tempo, ho guardato alle cose in questo modo. Una spettatrice a distanza.
Gli oggetti prendono vita, giocano con i propri riflessi, pensando forse di essere ancora soli, dietro ai vetri, di fronte agli specchi.
Guardo le cose che conservo da quando ero bambina, che porto con me trasloco dopo trasloco e non ho ancora perso: com'è successo che quell'elefantino continui a cambiare casa assieme a me dalla 5 elementare, senza smarrirsi? Il suo bianco luccichio di ceramica smaltata appartiene alle mie memorie tanto quanto i pranzi coi parenti, i compiti in classe, le prime cotte, il carnevale.
Un giorno costruirò un piccolo altare di ninnoli antichissimi. Gli idoli accumulati nel tempo. Gli oggetti di cui non mi posso disfare.
Attendo. I momenti d'attesa sono quelli che preferisco, sono la possibilità, l'aria che si addensa in una nuvola, il preambolo, la terra che scorre veloce sotto i piedi prima di arrivare a destinazione.
Mi trovo in un momento di puro privilegio.
La luce del mattino - un bicchiere d'acqua.