giovedì 22 dicembre 2011

Del perché amo viaggiare in autobus

Sono alla fermata dell'autobus, come tutte le mattine, quando, dall'altra parte della strada, vedo Lei.
È appena scesa da una linea suburbana e, ghignante, si getta nell'attraversata del viale, noncurante del pericolo. Trafelata e ridente, raggiunge la mia sponda e si pone anch'essa in freddolosa attesa dell'11.
L'ho già incontrata altre volte, alla fermata dell'autobus: è pazza e stralunata, nel senso più schietto del termine, e in quanto tale trova in me fiducia e conforto. 
Parla ad una velocità sorprendente, intervallando le corse incespicate della sua voce roca a risate profonde provenienti direttamente dai visceri. 
Ogni frase, tratatatata, è una mitragliata, capisci forse la prima e l'ultima parola; la testa ticchetta di qua e di là, e scatta, ogni tanto scatta, come se all'improvviso si rendesse conto di essere su questa Terra e si rispedisse immediatamente nel suo mondo fuligginoso di aspettatrice di autobus. 

Lavora la notte, ma non saprei dire dove, e torna a casa la mattina, ingiubottata in un piumino nero, i capelli color mogano profondo tutti stropicciati, le rughe, il sorriso perenne sotto il naso aquilino. 
Mi chiede se l'11 e già passato perché deve tornare a casa e fa freddo e non può aspettare fuori, in estate va anche bene, ma in inverno è freddo, se aveva tempo andava al bar, ma per fortuna che l'autobus è arrivato in tempo per prendere l'11, se no come faceva, deve tornare a casa, e fa freddo, hahahahah - risata profonda.
Fa tutto lei, si domanda e si risponde e ride, poi si ricorda che mi ha già vista, in effetti a prendere l'11 siamo in tre, e il biglietto vale ancora? si vale ancora, dura un'ora, eh si vale ancora, hahahahhahahahahaha. 
Saliamo sull'autobus.
Subito percorro il corridoio e vado a sedermi in fondo, come sempre, per lasciare scorrere i pensieri e il paesaggio, e Lei prende posto a metà autobus, il che tiene la mia coscienza al riparo dai sensi di colpa.

Quand'ecco...si avvicina.
"Facciamo la stessa strada, prendiamo la stessa linea e..." non le lascio il tempo di far partire la raffica che col più gentile sorriso dico "A me il viaggio in autobus piace farlo in silenzio" - un serial killer - e lei si siede borbottando qualcosa, ma sempre ridendo, sempre con le rughe alzate. 
Dopo un minuto, o forse due, glielo concedo, mi chiama.
"Senti ma questo, ma questo qui è bianco o rosso? questo brufolo qui è bianco o rosso?" e mi indica l'inflorescenza albina che le orna il mento, tutta impettita nel suo turgore mattutino. 
"È bianco" rispondo io, e torno con gli occhi sulla strada, mentre lei tra sé inizia a dire 
"Eh, allora lo devo mandare via, eh è bianco, allora è da schiacciare, si adesso lo posso schiacciare".

Il resto del viaggio è proseguito nel silenzio più totale.

mercoledì 21 dicembre 2011

Ho una casa

Da un mese ho una casa.
O meglio, abbiamo, io e René.

Una casa e un tavolo di fronte alla finestra, a cui potermi sedere e fare, o una poltrona, sotto un'altra finestra, su cui potermi sedere e leggere, o raggomitolarmi, o entrambe le cose, con tanto di plaid scozzese verde e un ciclamino a cui parlare sul mobiletto accanto.
Una casa e una cucina in cui mescolare ingredienti e inventarsi ricette e riuscire ad infilare pietanze nel forno senza il terrore di bruciarsi - andare a vivere da soli significa crescere, no? e il passo che ha sancito l'inizio della mia crescita è stato non avere paura di infilare le mani nel forno.
Una casa e due poltrone e quattro sedie su cui far accomodare persone e inchiacchierarsi, per ora non possiamo invitare più di quattro persone per volta, ma si può sempre decidere di stare in piedi a turno, o organizzare il gioco della sedia - si chiamava così? - o anche sedersi per terra, o sul mobile basso in sala, per René diventato trono d'elezione.
Una casa e un armadio caotico, giusto per tramandare qualche antica abitudine.

In questa casa mi sento a casa.
Entrano il cielo e gli alberi e altre case, dalla finestra.
Entra l'abbaiare dei cani che ancora non mi vogliono riconoscere quando passo la mattina, a parte il border collie che mi saluta sempre col suo musetto puntuto e dolce e che un giorno di questi rapirò - stamattina non mi ha salutata, stava mangiando, del resto anche io quando mangio è probabile che non dia importanza al resto del mondo.
Entrano le bici in discesa verso il parco, ed entrano le voci, rare, irraggiungibili, sospese.

Entrano le nuvole, e questo è l'importante.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...