Da un mese ho una casa.
O meglio, abbiamo, io e René.
Una casa e un tavolo di fronte alla finestra, a cui potermi sedere e fare, o una poltrona, sotto un'altra finestra, su cui potermi sedere e leggere, o raggomitolarmi, o entrambe le cose, con tanto di plaid scozzese verde e un ciclamino a cui parlare sul mobiletto accanto.
Una casa e una cucina in cui mescolare ingredienti e inventarsi ricette e riuscire ad infilare pietanze nel forno senza il terrore di bruciarsi - andare a vivere da soli significa crescere, no? e il passo che ha sancito l'inizio della mia crescita è stato non avere paura di infilare le mani nel forno.
Una casa e due poltrone e quattro sedie su cui far accomodare persone e inchiacchierarsi, per ora non possiamo invitare più di quattro persone per volta, ma si può sempre decidere di stare in piedi a turno, o organizzare il gioco della sedia - si chiamava così? - o anche sedersi per terra, o sul mobile basso in sala, per René diventato trono d'elezione.
Una casa e un armadio caotico, giusto per tramandare qualche antica abitudine.
In questa casa mi sento a casa.
Entrano il cielo e gli alberi e altre case, dalla finestra.
Entra l'abbaiare dei cani che ancora non mi vogliono riconoscere quando passo la mattina, a parte il border collie che mi saluta sempre col suo musetto puntuto e dolce e che un giorno di questi rapirò - stamattina non mi ha salutata, stava mangiando, del resto anche io quando mangio è probabile che non dia importanza al resto del mondo.
Entrano le bici in discesa verso il parco, ed entrano le voci, rare, irraggiungibili, sospese.
Entrano le nuvole, e questo è l'importante.
Nessun commento:
Posta un commento