Metto le mani a coppa e raccolgo il silenzio.
È appeso ad ogni ramo.
La nebbia è un respiro così intenso che non esisto.
È appeso ad ogni ramo.
La nebbia è un respiro così intenso che non esisto.
Quando esco di casa, non c'è nessuno, solo io e i merli. Zampettano affaccendati da molto prima che la mia sveglia abbia emesso bip. Lo vedo dai loro occhi vispi.
Di solito, quando attraverso il parco, mi attende una ben più folta compagnia. Le belle oche dalle piume di latte. I germani reali, semiaddormentati, col becco ancora sotto l'ala. Le anatre mandarine. I corridori dell'alba. Ma questa mattina no, siamo solo io e i merli. Sembra di non poter incontrare anima per chilometri.
Potrei perdermi e la realtà è che lo vorrei. Vagare finché la nebbia non si dirada, percorrere le vie dolci e rotonde del parco, io e le mie tasche, Petit-Poucet rêveur.
Nulla scandisce il mio tempo e le coordinate, quelle sono lontane dalla vista.
Gli alberi hanno smesso le ghirlande di fiori, hanno smesso i festoni di foglie. L'umidità è tale che non mi accorgo di calpestarle, si sono ammorbidite, non scricchiolano.
La notte ha tessuto i suoi sogni albero ad albero - appaiono quando la luce li investe, di taglio, mentre, da qualche parte, sorge. Gioielli invitanti, diademi di filo e di brina, che chiamano, invitano, lusingano. Per restare qui, sempre, per non uscire dal parco, dal sogno, dal sonno, mai.
Proseguo ancora.
Temo e allontano il momento in cui il rumore si insinuerà tra le crepe di questo regno che non si può trattenere. Temo l'idea di dover utilizzare la voce. E sarà inevitabile.
La nebbia te la porti nelle ossa, non nelle orecchie.
Quando sbuco dagli alberi alla realtà, realizzo che ogni cosa è sveglia e attiva, ma che avrei potuto non accorgermene mai.
La città. Le persone. Le auto. Le case.
Io, da qualche parte.